martedì 28 gennaio 2014

L'attesa

A quella ragazza piace il rosso.
Ne sono certa, perché ha sempre addosso qualche dettaglio carminio che attira l’attenzione: lo smalto opaco steso distrattamente, un rossetto acceso ben posato sulle labbra, una sciarpa di lana grossa pesante sulle spalle. Porta sempre con sé una borsa a tracolla color castagna che ricorda le vecchie cartelle scolastiche degli anni ’70. È una ragazza di bassa statura, esile, ma nei suoi occhi si leggono una determinazione ed un’energia fuori dal comune, sembra quasi che potrebbe spaccare il mondo se solo lo desiderasse.
Cammina sempre con le mani in tasca, con passo deciso e ritmato, e spesso la scopro giocare con le righe dei mattoncini rosa del marciapiede.
Non sorride mai.
Ogni mattina raggiunge la fermata del pullman con grande anticipo, si appoggia alla vecchia staccionata antistante la siepe e a gambe incrociate si perde nell'analisi di ogni tratto vandalico dipinto nella notte sul vetro ormai coperto della pensilina. I suoi occhi color nocciola si smarriscono tra i particolari: ogni giorno si sofferma su una nuova scoperta. Oggi una scimmietta incoronata ha attirato la sua attenzione: i contorni neri tracciati sapientemente con una bomboletta spray e la coda arrotolata sinuosamente sul piccolo pilastro della pensilina le donano un’aria simpatica.
Chissà che cosa sta pensando Roxy.
Ho deciso di darle un soprannome, dal momento che non la conosco, e Roxy mi è sembrato il più adatto. Forse per quel rosso che tanto ama, o forse perché i suoi capelli a spazzola le danno un’aria vispa che mi sembra ben descritta da un suono del genere.
Se mi sveglio presto, la mattina, sorrido al solo pensiero del suo arrivo. Più tempo aspetto più sarò felice di vederla spuntare da dietro l’angolo.
Mi metto comoda, con una tazza di tè al limone fra le mani, sprimaccio il cuscino verde di velluto che sta sempre appoggiato al davanzale, e ci appoggio i gomiti. Il silenzio del primo autunno avvolge il paese, in questi giorni, e tutto sembra caduto in un sonno rilassante. E la mia attesa…

È come quando da piccola, ogni domenica, stavo ad aspettare il papà che tornasse dal lavoro. Seduta sulla cassa di vernice bianca in cui tenevamo la legna per la stufa, affacciata alla finestra, pregustavo già il caldo profumo di pane fresco che mio papà avrebbe portato in casa, quando fosse rincasato dopo una notte in panificio. E quell'attesa era carica di entusiasmo, pronta ad esplodere in un abbraccio lungo e pieno d’amore.


È come quando in terza media ho atteso per un tempo che mi è sembrato infinito che le votazioni finali degli esami fossero appese sulla bacheca davanti alla segreteria al primo piano. Mille castelli di carta avevano occupato il mio piccolo cervellino, mentre fantasticavo su quali fossero i risultati, quale sensazione avrei provato dopo averli scoperti, che cosa avrebbero detto i miei genitori se fossero stati dei risultati eccezionali. L’ansia era data soprattutto dal mio desiderio infinito di eguagliare il mio fratello maggiore, che era riuscito a eccellere in tutto. E quell'attesa è stata snervante e angosciosa, ma allo stesso tempo anche silenziosa, come se non ci fosse. Come se non m’importasse, tanto che nessuno si è mai accorto che dentro scoppiavo dall'emozione quando ho finalmente potuto ammirare il risultato del mio impegno.


È come quando entro in chiesa in anticipo e attendo che cominci la messa. Il profumo delle candele, il silenzio interrotto solo dai passi delicati delle scarpe eleganti femminili e dei mocassini lucidi degli uomini, i fiori disposti simmetricamente sull'altare, le sedie vuote. Tutto rende la mia attesa un vuoto ricco di riflessioni, un momento di estrema profondità.


Mi sono appena persa nel vortice dei miei ricordi.

Stavo per perdermi l’arrivo di Roxy.
Stamattina sembra pensierosa, con le cuffie infilate nelle orecchie e ben nascoste dalla sciarpa di lana. Cammina a passo svelto, guarda in basso.
I capelli che sfidano la forza di gravità, i pantaloni verdi e la sua spirale 8 mm infilata nell'orecchio. Quanto è bella. Peccato per quelle sopracciglia aggrottate che rovinano la limpidezza del suo viso.
Le sue labbra sono socchiuse e agli angoli rivolte in basso: quella che vedo è forse tristezza? Eppure tutte le altre persone accanto a lei, schermate dalla freddezza, sembrano non vedere, sembrano non percepire il suo stato d’animo, sono perse nella loro egoistica dimensione frenetica e non si accorgono che lei sta soffrendo. Arriva l’autobus e rimango sola dietro il vetro appannato, presa dalla preoccupazione: perché quell'espressione sconvolta? Perché lo sguardo basso?
Mi alzo e porto la tazza vuota in cucina, la lavo, l’asciugo, la ripongo nell'armadio e torno a sedermi sul divano. Sento un peso sul cuore, come se stessi portando la tristezza di Roxy insieme a lei. Da quel momento in poi vivo la mia giornata dentro una bolla di riflessione che mi permette di pensare solo a Roxy, a quell'espressione di dolore sul suo volto, a quello sguardo introverso, e l’angoscia aumenta ogni minuto sempre di più.

Mezzogiorno. Non mi va di mangiare, ho fame solo dei suoi occhi nocciola alti e decisi, che quando guardano penetrano ogni molecola della materia e fanno cadere le difese di chiunque in un attimo.

E il mio desiderio viene esaudito.
Roxy scende dall'autobus, attraversa la strada a passo incerto e un momento dopo mi trovo a stringerla in un poderoso abbraccio.
Le sue lacrime scendono sulla mia spalla e i singhiozzi di dolore vengono assorbiti dal mio ascolto sincero. Un abbraccio infinito che permette alle nostre anime di incontrarsi, conoscersi, legarsi.

Sono passati 14 anni da quel giorno.

Quel fatidico 27 Settembre 2012, quel freddo pomeriggio in cui le lacrime di Roxy scesero a dirotto per ore ed ore: mentre mi presentavo a lei, mentre entrava in casa mia, mentre parlava con me seduta sul letto della mia stanza.
Sono passati 14 anni da quel giorno.
Quel fatidico mattino autunnale in cui, dopo aver atteso per un tempo infinito che il suo sguardo incrociasse il mio, dopo averla osservata ed avere imparato a conoscerla da dietro un vetro, sono uscita e le sono andata incontro. Ed è stata la scelta migliore che potessi fare.

Ogni giorno Roxy svolta l’angolo, si gira verso la mia finestra appannata, e mi saluta.

Ogni giorno Roxy indossa un particolare rosso, perché è il suo colore preferito.
Ogni giorno Roxy alza il viso, guarda il cielo. E sorride.
Ogni giorno Roxy, la mia Roxy, mi riempie il cuore di felicità.