domenica 16 febbraio 2014

E poi ci sono i ricordi #1

“Stai attenta a dove metti i piedi! Ci sono i ricci delle castagne a terra, e le foglie ti potrebbero far scivolare”
Ricordo frasi del genere ripetute ogni cinque minuti ad una scapestrata di 8 anni che correva in giro per i sentieri con i codini che le balzavano sulla testa. 
Ricordo quanto eri goloso.
Ricordo quella volta che hai riso guardandomi uscire dall’auto attraverso il finestrino.
E ricordo anche quella volta che mi hai guardato e mi hai sorriso, senza dire una parola. Quell’ultima volta. 

Inizio a perdermi nel vortice dei ricordi… mi sta trascinando dentro di sé, la corrente si fa sempre più forte, la mia capacità di oppormi viene di colpo a mancare…


Una mattina qualunque, una domenica piena di cose da fare, un giorno di lavoro come un altro. Era appena iniziato l’autunno, e con una giacchetta felpata sono salita sul furgoncino, assaporando l’odore di pane fresco fino a sentirlo riempirmi il naso. 

Portavo con me due brioches lisce, le nostre preferite, con tanto zucchero sopra, quasi ancora calde, sfornate con amore dal papà. 
“No no, io non mangio niente, ho appena fatto colazione”
Stavamo salendo a Margno, per consegnare i primi sacchetti, le prime ceste di pane della giornata. E mi sono addormentata, cullata dalla tua guida tranquilla in quel furgoncino blu, infarinato a non finire, piccolo ed accogliente, abbastanza per noi due e il nostro incarico. 
Arrivati a destinazione mi hai chiamato e siamo scesi con chili e chili di pane in pronta consegna. Il giro del supermercato, le ceste appoggiate sulla pedana del reparto alimentari, ed eravamo di nuovo in macchina. 
La strada del ritorno mangiando la brioches, che sapevo non avresti avuto il coraggio di abbandonare sul cruscotto. E il rientro in panificio, per ricaricare il furgone e ripartire. 
Ogni giro era un’avventura, insieme a te. Fatta di risate, racconti, parole, brioches. E musica. 
Quel giorno, risaliti in macchina, hai iniziato a fischiettare e poi anche a cantare. E hai intonato “camerèr porta mez littèr!”, canzone che prima di allora non avevo mai sentito, e che da allora non ho mai dimenticato. Cantavi con la tua voce vellutata e potente, spensierato. Ad ogni fermata scendevo per la consegna, e quando rimontavo in sella sentivo di nuovo il tuo dolce canto, ad accompagnare il lavoro. Ed era ciò che di più bello potessi chiedere. Un pochino poi, a volte, cantavo anch’io. Ma le canzoni che intonavo non erano del tuo genere, non le conoscevi… ascoltavi, però, con perizia e interesse. Ed era divertente vederti attento a ciò che dicevo e cantavo a squarciagola nella mia voglia di vita da quindicenne.

E a fine mattinata un saluto con un sorriso innocente e leggero, che mi lasciava addosso quella bella sensazione di essere amata per tutto il giorno.


E sto piangendo, nonno. Di nuovo. 

Cavoli, tu dici “prega, sorridi, pensami”. Eppure ogni volta quel sorriso non ce la faccio a disegnarlo sul mio volto… o forse c’è, ma a tratti, e viene spesso nascosto e soffocato dalle lacrime.

Manchi.


A tutti.


A me.