lunedì 16 aprile 2018

Alice nel mondo dei sogni (1)


Se vuoi leggere questa storia come l’ho scritta, metti in sottofondo questa canzone


Apro gli occhi, sto guardando a terra, e ci sono i miei piedi nudi che affondano nella sabbia. Alzo un pochino lo sguardo, e davanti a me c’è il mare. E’ buio, e indosso un vestito bianco molto leggero mosso dalla brezza che mi accarezza dolcemente. 
Un brivido di freddo.
Mi volto, e i miei amici mi fanno cenno di raggiungerli. Sono seduti attorno ad un falò, e stanno bevendo della birra in verdi bottiglie di vetro. Parlano e ridono a voce alta, e mi guardo intorno per assicurarmi che non stiamo disturbando qualcuno. Ci siamo solo noi in questo piccolo anfratto di paradiso, su questa sabbia chiara circondata dagli scogli. 
Mi siedo accanto ad una ragazza dai capelli lunghi, vaporosi, rossi. La sensazione della sabbia sotto i piedi mi accompagna dolcemente, mi fa sentire fuori dal mondo, come se non ci fosse altro se non quella notte e quelle risate. 
Tra i volti ne scorgo di conosciuti, di famigliari, di mai visti… e poi incrocio degli occhi verdi che catturano la mia attenzione: sguardo intenso, barba folta, diversi bracciali ai polsi e una birra in mano, con i gomiti appoggiati sulle gambe, proteso in avanti, mi sta guardando. Sembra completamente estraneo a quel che sta accadendo intorno a lui e per un attimo ci siamo solo noi, fermi e congelati in quell’incrocio di sguardi, che senza dire nulla rinchiude tante parole…
Qualcuno mi chiama: è la ragazza che avevo accanto. Non la conosco ma mi sta offrendo qualcosa… 
[vuoto]
Improvvisamente mi ritrovo in una discoteca, o almeno credo… C’è della musica ad alto volume, è pieno di gente. 
Sono in piedi davanti all’entrata, con addosso un vestitino rosso davvero minimal e dei tacchi assurdi (anche per me!).
Qualcuno da dietro mette le sue mani sui miei occhi. Passo le mie mani sulle sue braccia, mi giro, ed è di nuovo lui.
Mi sorride.

sabato 14 aprile 2018

14.02.2018



Voglio tagliarmi i capelli. Anzi a dir la verità me li voglio proprio rasare. Ci sto pensando da mesi, mi sono stancata di questi lunghi capelli neri che a volte mi sembrano non appartenermi. Ho provato di tutto, è vero, ma ogni volta mi torna in mente il fatto che dovrei tornare al corto, che i capelli corti mi rappresentano. I capelli corti sono forti, di carattere, distintivi, sono qualcosa che sento molto mio, sono qualcosa a cui so che tornerò sempre, prima o poi.
Ho paura che non piacerò alla gente. E’ assurdo, perché io non mi faccio mai problemi sul piacere o meno, però è così. Penso che magari non sarei più così attraente, almeno per una parte di gente, e questo mi spaventa un po’ devo essere sincera. 
E’ il giorno di san valentino e vorrei scrivere a Marco. Vorrei chiedergli come sta, cosa sta facendo, che cosa pensa del fatto che vorrei rasarmi i capelli. A lui piacciono lunghi ma direbbe sicuramente, o meglio, tempo fa avrebbe detto sicuramente, che gli piaccio in ogni caso. Che lunghi, corti, neri, gialli o verdi non fa differenza perché mi trova bellissima in ogni caso. 
Vorrei scrivere a Marco, chiedergli cosa non va, cosa non mi dice, cosa vorrebbe dirmi, cosa vorrebbe urlarmi, cosa vorrebbe sussurrarmi e cosa prova. Vorrei chiedergli se mi ha sostituita, e se così fosse ben venga non mi arrabbierei, sarei felice per lui, capirei che ha voltato pagina senza preoccuparsi eccessivamente. Vorrei chiedergli se posso riprendermi le mie cose perché sono ancora nel cassetto di camera sua e questa cosa mi da fastidio, mi urta, mi fa incazzare a volte. Non riesco a sopportare che non ci sia stata una chiusura, che non ci sia stata una vera spiegazione di tutto, e che la mia roba sia ancora lì, nella sua stanza, come se gli appartenesse. Vorrei chiedergli se pensa che ci apparteniamo ancora, se pensa ancora che siamo anime gemelle, o se magari nel frattempo ha cambiato idea e pensa che la storia delle anime gemelle non sia reale o che magari semplicemente non riguarda noi due, non insieme quantomeno. Voglio sapere se ci crede ancora alla storia che siamo stati destinati a trovarci e che lui non avrebbe potuto trovare di meglio. Voglio chiederglielo perché io, dentro il mio cuore, so che è così. So che vorrei stare con lui e che se ancora non ho baciato qualcun altro un motivo c’è. Perché ho del sentimento arretrato e mi sento male al pensiero di non poterlo condividere con la persona per cui lo provo. Sentimento arretrato. Che bella descrizione che ho appena dato di quello che ho nel cuore. Si, penso sia il modo migliore per descrivere quello che provo. Vado a momenti, e non so bene come uscirne. E’ tutto un casino e io non so che fare.
Non so se rasarmi i capelli. Forse li taglio e basta, faccio un bel taglio drastico, che mi renda una persona nuova, per ricominciare, che mi renda una persona nuova, una persona che abbia il coraggio di baciare qualcun altro.
Perché cazzo non ce la faccio proprio non me lo spiego. 
Io, spigliatissima e pronta a tutto, improvvisamente ho paura di baciare un ragazzo. Damn.

lunedì 9 aprile 2018

31.01.2018


Tutti che si ostinano a dirmi che non tutto è bianco o nero, che in mezzo ci sono le sfumature. 
Beh, non ci credo. O almeno, non ci credo più. O forse non ci ho mai creduto.
Le sfumature non esistono, o se esistono mi fanno schifo, non sono decisioni che voglio prendere o subire, non sono situazioni che voglio vivere, non sono circostanze che fanno per me. 
Come quando ti siedi davanti ad una schermata bianca ed inizi a scrivere: le parole non possono essere grigie, sbiadite, color topo di fogna. Le parole sono nere, nere come la pece, nere come l’inchiostro (anche se scrivi allo schermo di un pc), nere come la vernice delle scarpe di uno sposo, nere come i tasti neri dei pianoforti, nere come una notte senza stelle. 
Non esistono mezzi toni, non esistono mezze decisioni, non esistono mezze situazioni. Non si può stare in bilico in eterno. Si, forse ci si può adagiare su un letto grigio chiaro, e stare lì un po’, in attesa di risposte, ma poi queste risposte arrivano e quindi o dormi o ti alzi e vivi, o è bianco o è nero.
Bianco e nero. Sono gli opposti a guidare il mondo. Non ricordo bene chi, questo è un ricordo che risale al primo anno di liceo e alle lezioni di filosofia con la prof Bellelli (che mamma mia che sonno che mi veniva!): diceva che gli opposti sono condizione necessaria per il mondo per poter continuare ad esistere, per mantenersi in vita. Perché senza la notte non conosceremmo il giorno. Senza la tristezza non conosceremmo la felicità. Senza il bianco non conosceremmo il nero. E infatti poi quando mi vesto di nero, a volte ci penso e mi dico: dovrei aggiungere qualcosa di bianco. Perché nero su nero su nero su nero non ha molto senso. Se invece lì in mezzo, a tradimento, ci ficco qualcosa di bianco, allora si che il nero avrà la sua potenza e potrà mostrarsi in tutta la sua bellezza.
Dico sempre a mia madre di smetterla di vestirsi di nero, che ci sono altri mille colori da poter usare. E non intendo che debba andare in giro vestita come un arcobaleno, ma magari ogni tanto potrebbe osare con un grigio, che so. Ecco, forse ora mi sto un po’ contraddicendo: non ci sono sfumature ma dico a mia madre di usarne. Che roba strana la mia mente: certe volte mi ci perdo, inizio a girare in tondo, non riesco a trovare una fine a questo rotolamento di pensieri. Qualcuno mi ha consigliato di scrivere, di continuare a scrivere, senza mai fermarmi, finché le mie dita non perdono il ritmo. “Ho rotto il ritmo dell’imperatore, gli ho rotto il ritmo!”, sto film mi viene sempre in mente quando meno me l’aspetto. Bene, questo ritmo non accenna a fermarsi e allora forse devo continuare a scrivere, proprio come mi hanno detto di fare. Ed è assurdo che proprio ora che ho parlato di ritmo ho perso un battito e sono rimasta un po’ indietro, però poi ho recuperato e adesso le mie dita sono tornate a funzionare alla velocità di prima, sto scrivendo senza neppure guardare i tasti, senza sapere che diavolo scriverò dopo questa parola. Ecco, ho messo un punto che non sapevo avrei messo. Mi sento un po’ Italo Calvino in questo momento, ad immaginare un rapporto tra scrittore e scrittura, tra lettore e lettura, tra io e te, tra umano e carta. E dopo aver usato questa parola penso a quelli che i libri di carta non li leggono più, a quelli che si affidano agli e-book, e non sapranno mai cosa significa perdere improvvisamente il segnalibro e non sapere dov’eri arrivato, o sottolineare qualcosa e poi accorgersi che forse un pennarello non era la scelta giusta perché si vede tutto anche sulla facciata opposta della pagina. Che belli i libri. Ne ho la stanza piena. Non so più dove metterli, a volte mi tocca regalarli, venderli, abbandonarli in qualche biblioteca o in qualche scatola di Book Crossing, perché altrimenti non ho più spazio per me stessa. “Prima o poi dovrai uscirei tu per lasciare spazio alla tua roba”, dice sempre mio padre quando entra in camera mia e si accorge che ho aggiunto qualcosa in bella vista, e che ho occupato un’altro dei pochi centimetri quadrati liberi rimasti. La mia stanza è un buco, non ci sta niente. Ma il pianoforte ce l’ho fatto stare, a costo di rinunciare ad un armadio e alla scrivania. Sì, non ho una scrivania, ho un tavolino pieghevole dell’ikea, che in realtà va più che bene. Diciamo che me lo devo far andare bene, visto che la mia stanza è stata ricavata dal salotto di una casa troppo piccola per viverci in 5 ma che era l’unica casa che potevamo permetterci di affittare in questo momento. Diciamo che mi mancano le mie vecchie stanze, o almeno le prime due che ho avuto, che erano spaziose e in cui potevo fare tutto quello che mi andava senza problemi di alluci contro spigoli o testate a lampade improbabili. Ho traslocato 4 volte. O erano 5? Ho perso il conto.