lunedì 9 aprile 2018

31.01.2018


Tutti che si ostinano a dirmi che non tutto è bianco o nero, che in mezzo ci sono le sfumature. 
Beh, non ci credo. O almeno, non ci credo più. O forse non ci ho mai creduto.
Le sfumature non esistono, o se esistono mi fanno schifo, non sono decisioni che voglio prendere o subire, non sono situazioni che voglio vivere, non sono circostanze che fanno per me. 
Come quando ti siedi davanti ad una schermata bianca ed inizi a scrivere: le parole non possono essere grigie, sbiadite, color topo di fogna. Le parole sono nere, nere come la pece, nere come l’inchiostro (anche se scrivi allo schermo di un pc), nere come la vernice delle scarpe di uno sposo, nere come i tasti neri dei pianoforti, nere come una notte senza stelle. 
Non esistono mezzi toni, non esistono mezze decisioni, non esistono mezze situazioni. Non si può stare in bilico in eterno. Si, forse ci si può adagiare su un letto grigio chiaro, e stare lì un po’, in attesa di risposte, ma poi queste risposte arrivano e quindi o dormi o ti alzi e vivi, o è bianco o è nero.
Bianco e nero. Sono gli opposti a guidare il mondo. Non ricordo bene chi, questo è un ricordo che risale al primo anno di liceo e alle lezioni di filosofia con la prof Bellelli (che mamma mia che sonno che mi veniva!): diceva che gli opposti sono condizione necessaria per il mondo per poter continuare ad esistere, per mantenersi in vita. Perché senza la notte non conosceremmo il giorno. Senza la tristezza non conosceremmo la felicità. Senza il bianco non conosceremmo il nero. E infatti poi quando mi vesto di nero, a volte ci penso e mi dico: dovrei aggiungere qualcosa di bianco. Perché nero su nero su nero su nero non ha molto senso. Se invece lì in mezzo, a tradimento, ci ficco qualcosa di bianco, allora si che il nero avrà la sua potenza e potrà mostrarsi in tutta la sua bellezza.
Dico sempre a mia madre di smetterla di vestirsi di nero, che ci sono altri mille colori da poter usare. E non intendo che debba andare in giro vestita come un arcobaleno, ma magari ogni tanto potrebbe osare con un grigio, che so. Ecco, forse ora mi sto un po’ contraddicendo: non ci sono sfumature ma dico a mia madre di usarne. Che roba strana la mia mente: certe volte mi ci perdo, inizio a girare in tondo, non riesco a trovare una fine a questo rotolamento di pensieri. Qualcuno mi ha consigliato di scrivere, di continuare a scrivere, senza mai fermarmi, finché le mie dita non perdono il ritmo. “Ho rotto il ritmo dell’imperatore, gli ho rotto il ritmo!”, sto film mi viene sempre in mente quando meno me l’aspetto. Bene, questo ritmo non accenna a fermarsi e allora forse devo continuare a scrivere, proprio come mi hanno detto di fare. Ed è assurdo che proprio ora che ho parlato di ritmo ho perso un battito e sono rimasta un po’ indietro, però poi ho recuperato e adesso le mie dita sono tornate a funzionare alla velocità di prima, sto scrivendo senza neppure guardare i tasti, senza sapere che diavolo scriverò dopo questa parola. Ecco, ho messo un punto che non sapevo avrei messo. Mi sento un po’ Italo Calvino in questo momento, ad immaginare un rapporto tra scrittore e scrittura, tra lettore e lettura, tra io e te, tra umano e carta. E dopo aver usato questa parola penso a quelli che i libri di carta non li leggono più, a quelli che si affidano agli e-book, e non sapranno mai cosa significa perdere improvvisamente il segnalibro e non sapere dov’eri arrivato, o sottolineare qualcosa e poi accorgersi che forse un pennarello non era la scelta giusta perché si vede tutto anche sulla facciata opposta della pagina. Che belli i libri. Ne ho la stanza piena. Non so più dove metterli, a volte mi tocca regalarli, venderli, abbandonarli in qualche biblioteca o in qualche scatola di Book Crossing, perché altrimenti non ho più spazio per me stessa. “Prima o poi dovrai uscirei tu per lasciare spazio alla tua roba”, dice sempre mio padre quando entra in camera mia e si accorge che ho aggiunto qualcosa in bella vista, e che ho occupato un’altro dei pochi centimetri quadrati liberi rimasti. La mia stanza è un buco, non ci sta niente. Ma il pianoforte ce l’ho fatto stare, a costo di rinunciare ad un armadio e alla scrivania. Sì, non ho una scrivania, ho un tavolino pieghevole dell’ikea, che in realtà va più che bene. Diciamo che me lo devo far andare bene, visto che la mia stanza è stata ricavata dal salotto di una casa troppo piccola per viverci in 5 ma che era l’unica casa che potevamo permetterci di affittare in questo momento. Diciamo che mi mancano le mie vecchie stanze, o almeno le prime due che ho avuto, che erano spaziose e in cui potevo fare tutto quello che mi andava senza problemi di alluci contro spigoli o testate a lampade improbabili. Ho traslocato 4 volte. O erano 5? Ho perso il conto. 

Nessun commento:

Posta un commento